mercoledì, settembre 29, 2004
Passeggiate romane
Sms di Stefano: hey ma una passeggiata ai Fori quando la facciamo?
Oggi, che domande!
Il cielo è così azzurro...
Così l'ho raggiunto a Piazza del Popolo nel pomeriggio (stamattina lui lavorava, io in compenso facevo riaccordare il pianoforte, mi occupavo di telefonate, conti e bollette, e finalmente mi andavo a prendere una seduta di osteopatia/terapia craniosacrale, una meraviglia cui non saprò mai più rinunciare), e ci siamo incamminati a piedi per Via del Corso, in direzione ovviamente Piazza Venezia.
Cammina e parla, parla e cammina, eccoci a fotografare case antiche e dipinti murali prima di avviarci su per la scala che porta al Campidoglio...
La vista sui ruderi romani da lassù è veramente mozzafiato. Stefano rimane più volte colpito dalla nostra umana piccolezza visti dall'alto, fra le strade lastricate e le colonne antiche. In effetti, è tutto così irreale! Come siamo piccoli, come siamo piccoli in mezzo a queste cose immense... Piccoli dentro gli archi, piccoli dentro questo immenso utero cittadino...
Stefano fotografa (sai, è il Giapponese che è in me, soggiunge mentre scatta) girandosi intorno e cercando inquadrature che nel magico riquadro della macchina digitale rivelano se stesse in tutto il loro splendore e la loro originalità (questa la cancelliamo, che non è venuta, e questa pure). Oggi c'è un contrasto incredibile, e passeggiamo fra fichi e ulivi, piccioni in cima a colonne mozze, pietre solcate dai carri alcuni millenni orsono... Continuiamo a ripetere solo vocali (ih, uh, ah, oh, eh...) nella meraviglia di questo pomeriggio ancora estivo, nella nostra città ritrovata... Tutto ci risulta nuovo, eppure antico nella relazione profonda con la Terra... Zainetti a tracolla, jeans e magliette in agile arrampicata su per le strade e gli scalini, iniziamo a parlare di soldati e condottieri, di passioni e sventure, di avventure e perigli, della nostra comune attitudine naturale all'assalto, al comando, all'irruenza guerriera, che chissà da dove ci arriva...
...Ecco, è questo che faccio quando mi pervade d'improvviso la sottile e penetrante depressione tipica dell'artista che entra in comunicazione con il suo vuoto/pieno: riprendo contatto con le mie pietre, coi miei sassi; cammino, cammino, e ascolto sotto i miei passi risuonare la terra; respiro i tufi e mi specchio nei marmi di questa mia città così varia, così mobile malgrado la seduta comoda in cui si trova, morbidamente abbandonata sui suoi Sette Colli. In fondo, a volte, la percorro come se fossi in Carso, col pietriccio che rotola giù, e gli anfibi legati stretti intorno ai pantaloni alla zuava. E' il ritmo che mi riporta al Tempo, il silenzio che mi riempie nuovamente di Musica, il fragore della mia guerra interiore che ricrea in me la Pace.
...Ce ne andiamo così, insieme parlando e rimanendo in silenzio, assorti nella semplice contemplazione del Tempo Presente.
Oddìo, di foto ormai ce ne saranno tantissime... Che bella quest'era digitale, che permette di scattare senza badare a spese, di migliorarsi work in progress, senza dover rispettare il rullino on demand!
Arriviamo al Colosseo, e lì decido di fare un pellegrinaggio fino al cancello della villa in cui abitava allora la mia amica Silvia, dalla quale mi rifugiai per qualche settimana quando scappai di casa a 14 anni.
Eh sì! Sapendo che i suoi partivano per un pò, all'ennesimo litigio violento con i miei feci i bagagli e mi presentai alla sua scuola con una grande valigia verde. Conteneva tutti i miei dischi (all'epoca, in vinile doc), un cambio di vestiti e la sveglia per poter andare a scuola in orario. Avevo litigato con i miei, mica con la mia vocazione! E allora tutti i giorni all'uscita di scuola veniva mia madre a pregarmi di tornare a casa... Bei tempi di contestazione verace, quelli! E quante feste la notte con le chitarre e i nostri cori a più voci! Una fuga da casa che mi insegnò davvero a vivere la mia vita personale, già allora. Imparai a cucinare, e bene! Silvia faceva risotti meravigliosi, e cucinava con la cura di un poeta che sceglie le parole della sua poesia finché non raggiunge la perfezione d'insieme.
E poi musica sì, ma con la disciplina degna di un vero rivoluzionario: io tutte le mattine ero a scuola alle otto, altro che balle. E la notte si suonava fino all'alba, in una foga di creatività che ti scuoteva l'anima, e non ti lasciava dormire.
...Insomma, ci incamminiamo sul ponte verso Ingegneria, e decidiamo di fermarci a vedere il Mosé di Michelangelo a San Pietro in Vincoli. A Santa Maria Maggiore ci aspetta Federica, e quando finalmente la raggiungiamo ci meritiamo una pausa merenda (sono ormai quasi le 19) seduti al tavolino del bar che fa angolo sulla piazza. Caffè senza zucchero per Federica, tè coi pasticcini per il Principe (goloso d'uno Stefano, per fortuna è alto, si vede che consuma) e un cornetto Algida per me, sana via di mezzo fra la depravazione più totale di Steve e il rigore monacale di Fede.
Torno a casa con un'energia che metto a riassettare con amore i miei luoghi: richiudo le persiane e tiro le tende, lavo la montagna di piatti che mi osservava da giorni aggrappata disperatamente al lavandino, carico una lavatrice, e mi godo la mia casetta ritrovata, colorata e piena di chicchere tutte diverse, rotonda di cuscini e poufs, mite e dolce come una residenza di campagna.
Oggi, che domande!
Il cielo è così azzurro...
Così l'ho raggiunto a Piazza del Popolo nel pomeriggio (stamattina lui lavorava, io in compenso facevo riaccordare il pianoforte, mi occupavo di telefonate, conti e bollette, e finalmente mi andavo a prendere una seduta di osteopatia/terapia craniosacrale, una meraviglia cui non saprò mai più rinunciare), e ci siamo incamminati a piedi per Via del Corso, in direzione ovviamente Piazza Venezia.
Cammina e parla, parla e cammina, eccoci a fotografare case antiche e dipinti murali prima di avviarci su per la scala che porta al Campidoglio...
La vista sui ruderi romani da lassù è veramente mozzafiato. Stefano rimane più volte colpito dalla nostra umana piccolezza visti dall'alto, fra le strade lastricate e le colonne antiche. In effetti, è tutto così irreale! Come siamo piccoli, come siamo piccoli in mezzo a queste cose immense... Piccoli dentro gli archi, piccoli dentro questo immenso utero cittadino...
Stefano fotografa (sai, è il Giapponese che è in me, soggiunge mentre scatta) girandosi intorno e cercando inquadrature che nel magico riquadro della macchina digitale rivelano se stesse in tutto il loro splendore e la loro originalità (questa la cancelliamo, che non è venuta, e questa pure). Oggi c'è un contrasto incredibile, e passeggiamo fra fichi e ulivi, piccioni in cima a colonne mozze, pietre solcate dai carri alcuni millenni orsono... Continuiamo a ripetere solo vocali (ih, uh, ah, oh, eh...) nella meraviglia di questo pomeriggio ancora estivo, nella nostra città ritrovata... Tutto ci risulta nuovo, eppure antico nella relazione profonda con la Terra... Zainetti a tracolla, jeans e magliette in agile arrampicata su per le strade e gli scalini, iniziamo a parlare di soldati e condottieri, di passioni e sventure, di avventure e perigli, della nostra comune attitudine naturale all'assalto, al comando, all'irruenza guerriera, che chissà da dove ci arriva...
...Ecco, è questo che faccio quando mi pervade d'improvviso la sottile e penetrante depressione tipica dell'artista che entra in comunicazione con il suo vuoto/pieno: riprendo contatto con le mie pietre, coi miei sassi; cammino, cammino, e ascolto sotto i miei passi risuonare la terra; respiro i tufi e mi specchio nei marmi di questa mia città così varia, così mobile malgrado la seduta comoda in cui si trova, morbidamente abbandonata sui suoi Sette Colli. In fondo, a volte, la percorro come se fossi in Carso, col pietriccio che rotola giù, e gli anfibi legati stretti intorno ai pantaloni alla zuava. E' il ritmo che mi riporta al Tempo, il silenzio che mi riempie nuovamente di Musica, il fragore della mia guerra interiore che ricrea in me la Pace.
...Ce ne andiamo così, insieme parlando e rimanendo in silenzio, assorti nella semplice contemplazione del Tempo Presente.
Oddìo, di foto ormai ce ne saranno tantissime... Che bella quest'era digitale, che permette di scattare senza badare a spese, di migliorarsi work in progress, senza dover rispettare il rullino on demand!
Arriviamo al Colosseo, e lì decido di fare un pellegrinaggio fino al cancello della villa in cui abitava allora la mia amica Silvia, dalla quale mi rifugiai per qualche settimana quando scappai di casa a 14 anni.
Eh sì! Sapendo che i suoi partivano per un pò, all'ennesimo litigio violento con i miei feci i bagagli e mi presentai alla sua scuola con una grande valigia verde. Conteneva tutti i miei dischi (all'epoca, in vinile doc), un cambio di vestiti e la sveglia per poter andare a scuola in orario. Avevo litigato con i miei, mica con la mia vocazione! E allora tutti i giorni all'uscita di scuola veniva mia madre a pregarmi di tornare a casa... Bei tempi di contestazione verace, quelli! E quante feste la notte con le chitarre e i nostri cori a più voci! Una fuga da casa che mi insegnò davvero a vivere la mia vita personale, già allora. Imparai a cucinare, e bene! Silvia faceva risotti meravigliosi, e cucinava con la cura di un poeta che sceglie le parole della sua poesia finché non raggiunge la perfezione d'insieme.
E poi musica sì, ma con la disciplina degna di un vero rivoluzionario: io tutte le mattine ero a scuola alle otto, altro che balle. E la notte si suonava fino all'alba, in una foga di creatività che ti scuoteva l'anima, e non ti lasciava dormire.
...Insomma, ci incamminiamo sul ponte verso Ingegneria, e decidiamo di fermarci a vedere il Mosé di Michelangelo a San Pietro in Vincoli. A Santa Maria Maggiore ci aspetta Federica, e quando finalmente la raggiungiamo ci meritiamo una pausa merenda (sono ormai quasi le 19) seduti al tavolino del bar che fa angolo sulla piazza. Caffè senza zucchero per Federica, tè coi pasticcini per il Principe (goloso d'uno Stefano, per fortuna è alto, si vede che consuma) e un cornetto Algida per me, sana via di mezzo fra la depravazione più totale di Steve e il rigore monacale di Fede.
Torno a casa con un'energia che metto a riassettare con amore i miei luoghi: richiudo le persiane e tiro le tende, lavo la montagna di piatti che mi osservava da giorni aggrappata disperatamente al lavandino, carico una lavatrice, e mi godo la mia casetta ritrovata, colorata e piena di chicchere tutte diverse, rotonda di cuscini e poufs, mite e dolce come una residenza di campagna.