sabato, settembre 04, 2004
Bluesy Saturday
Sono appena tornata dal mio concerto con Tom Johnson.
Qui si suona presto, e si finisce presto.
Non mi abituerò mai, penso, a iniziare a cantare jazz che fuori c'è ancora il sole, e filtra dalle veneziane dei locali...
Ci siamo abbracciati forte davvero, io e Tom alla fine del gig, perché abbiamo suonato proprio bene, ecco, e ci sono mancate veramente le parole per dirci quanto eravamo pienamente soddisfatti della serata.
Direi che abbiamo suonato generosamente, e col sorriso fino alle orecchie per tutta la durata del concerto. Un sacco di idee, un sacco di belle frasi, e piccole innovazioni continue, e stupori, e meraviglia, e gioia, e tanto interplay...
Mentre cantavo a un certo punto sono comparsi i fireworks sul maxischermo, perché stasera in città si festeggiava il Labour Day, che sarebbe lunedì prossimo al posto del nostro Primo Maggio, ma i fuochi li hanno spostati a oggi che è sabato. Roba da matti.
Mi sembrava improvvisamente Capodanno, ed era proprio strano continuare a improvvisare sui fuochi d'artificio senza il sonoro, mi pareva veramente di inventare con la voce i movimenti delle luci e dei colori...
...In più, come spesso accade da queste parti durante un concerto jazz, la gente si è alzata e si è messa a ballare. Istintivamente ci è presa ad essere romantici (è stato proprio inconscio, ma netto), poi in effetti ci è presa ad essere anche un pò come dire prima sensuali e poi francamente eccitati dalla situazione (in musica si può, senza vergogna, questo ed altro) e quelli che si allacciavano sempre di più, e dopo un pò gli è scappato anche qualche bacio appassionato, di quelli everlasting, insomma, mentre io facevo la cadenza finale ed è ovvio che mi veniva di prolungarla all'infinito. Più mettevo note e più pensavo "beati loro, e io son proprio contenta di essere la loro colonna sonora..."
...Quante cose strane che accadono qui.
Perché tutto ciò mi piace? In Italia mi farebbe impazzire dalla rabbia, credo.
Invece non so, qui è tutto così genuino nell'ambiente del jazz... Si suona ma si rimane molto in contatto con la realtà quotidiana, la vita, la gente... Niente pippe mentali, insomma per dirla schietta: mica siamo a New York che bisogna essere intelligenti per forza.
Qui siamo in uno degli stati più poveri d'America. In terra nera anche se ci sono i bianchi, anche se i bianchi non lo sanno (e certi a saperlo inorridirebbero), sono diventati parecchio neri anche loro. Qui il blues è un pò dovunque, intendo non solo nella musica: nella parlata, nei gesti, nelle abitudini quotidiane... Ed è come riprendere una boccata d'aria, quando entra prepotente in quello che stai facendo, e lo cambia di assetto.
Le coppie finiti i pezzi ci applaudivano, insomma questo passare dall'ascolto al ballo all'apprezzamento e poi di nuovo all'intimità era una danza in se stessa, bellissima, sublime, sensuale come la nostra musica.
Porterò con me in Italia anche questo, allora: se quando canto jazz la gente si abbraccia e si bacia, va bene così.
Bisogna che mi registri più spesso, però: avessi a capire il trucco.
Qui si suona presto, e si finisce presto.
Non mi abituerò mai, penso, a iniziare a cantare jazz che fuori c'è ancora il sole, e filtra dalle veneziane dei locali...
Ci siamo abbracciati forte davvero, io e Tom alla fine del gig, perché abbiamo suonato proprio bene, ecco, e ci sono mancate veramente le parole per dirci quanto eravamo pienamente soddisfatti della serata.
Direi che abbiamo suonato generosamente, e col sorriso fino alle orecchie per tutta la durata del concerto. Un sacco di idee, un sacco di belle frasi, e piccole innovazioni continue, e stupori, e meraviglia, e gioia, e tanto interplay...
Mentre cantavo a un certo punto sono comparsi i fireworks sul maxischermo, perché stasera in città si festeggiava il Labour Day, che sarebbe lunedì prossimo al posto del nostro Primo Maggio, ma i fuochi li hanno spostati a oggi che è sabato. Roba da matti.
Mi sembrava improvvisamente Capodanno, ed era proprio strano continuare a improvvisare sui fuochi d'artificio senza il sonoro, mi pareva veramente di inventare con la voce i movimenti delle luci e dei colori...
...In più, come spesso accade da queste parti durante un concerto jazz, la gente si è alzata e si è messa a ballare. Istintivamente ci è presa ad essere romantici (è stato proprio inconscio, ma netto), poi in effetti ci è presa ad essere anche un pò come dire prima sensuali e poi francamente eccitati dalla situazione (in musica si può, senza vergogna, questo ed altro) e quelli che si allacciavano sempre di più, e dopo un pò gli è scappato anche qualche bacio appassionato, di quelli everlasting, insomma, mentre io facevo la cadenza finale ed è ovvio che mi veniva di prolungarla all'infinito. Più mettevo note e più pensavo "beati loro, e io son proprio contenta di essere la loro colonna sonora..."
...Quante cose strane che accadono qui.
Perché tutto ciò mi piace? In Italia mi farebbe impazzire dalla rabbia, credo.
Invece non so, qui è tutto così genuino nell'ambiente del jazz... Si suona ma si rimane molto in contatto con la realtà quotidiana, la vita, la gente... Niente pippe mentali, insomma per dirla schietta: mica siamo a New York che bisogna essere intelligenti per forza.
Qui siamo in uno degli stati più poveri d'America. In terra nera anche se ci sono i bianchi, anche se i bianchi non lo sanno (e certi a saperlo inorridirebbero), sono diventati parecchio neri anche loro. Qui il blues è un pò dovunque, intendo non solo nella musica: nella parlata, nei gesti, nelle abitudini quotidiane... Ed è come riprendere una boccata d'aria, quando entra prepotente in quello che stai facendo, e lo cambia di assetto.
Le coppie finiti i pezzi ci applaudivano, insomma questo passare dall'ascolto al ballo all'apprezzamento e poi di nuovo all'intimità era una danza in se stessa, bellissima, sublime, sensuale come la nostra musica.
Porterò con me in Italia anche questo, allora: se quando canto jazz la gente si abbraccia e si bacia, va bene così.
Bisogna che mi registri più spesso, però: avessi a capire il trucco.